Perchè il SIULP ? - Fausto Stefani WebSite

Vai ai contenuti

Perchè il SIULP ?

SIULP 1977/84
PREFAZIONE
 
Ho frequentato l'Istituto Tecnico Industriale Statale di Urbino dal 1967 al 1971. Il sessantotto per me è stato un bellissimo periodo dove si facevamo scioperi e manifestazioni al solo scopo di non andare a scuola. Non so se è stato il "sessantotto", la scuola, i miei genitori, gli amici, o tutte queste componenti messe insieme, ma in quel periodo della mia adolescenza si formarono in me dei principi che mi sarei portato per tutta la vita: alcuni condivisi, ma poco applicati nella società, come l'onestà, il rispetto altrui, i diritti-doveri,  occhio per occhio, dente per dente... altri disapprovati dalla società, ma molto applicati dalla stessa, come "desidera pure la donna d'altri se è lei che ti stuzzica..." Finita la scuola bisognava aspettare la cartolina per il servizio militare, quindi, per mantenermi, andai a lavorare nell'autocarrozzeria di mio cognato come apprendista carrozziere. La cartolina arrivò: due anni in Marina nel Battaglione San Marco. No, non ci sto. Altri due anni a farmi mantenere da mio padre? Meglio una firma di tre anni in Polizia, almeno avrei avuto uno stipendio. E poi la Polizia è affascinante: il Tenente Sheridan, il suo "collega" Colombo, il Commissario Maigret, quei due simpaticoni della Stradale: the Chips... A 19 anni sarà fantastico indossare un'uniforme e girare l'Italia per 3 anni a spese dello Stato!
 
1973
 
Il primo campanello d'allarme fu la faccia di mio padre quando gli dissi le mie intenzioni, ma lui era "vecchio" e si preoccupava troppo per me. Il secondo campanello suonò quando, dopo aver presentato la domanda d'arruolamento, andai a fare le visite mediche ed i test attitudinali alla Scuola di Nettuno (Roma): era un bando d'arruolamento di 4.000 posti, titolo di studio richiesto la quinta elementare, 1.000 domande in tutta Italia. Tutti arruolati tranne gli analfabeti (nel 1973 ce n'erano ancora molti di ragazzi analfabeti). A ottobre del 1973 presi l'ultimo stipendio da apprendista carrozziere: 110.000 lire per 48 ore di lavoro settimanali. A maggio del 1974 presi il primo stipendio da Guardia di Pubblica Sicurezza: 60.000 lire al mese, senza orario di lavoro, senza straordinari, senza indennità festive o notturne e per il giorno di riposo dovevi riuscire ad impietosire il Maresciallo. Nessuna rappresentanza sindacale, gli aumenti di stipendio venivano "elargiti" dal Ministero dell'Interno quando i poliziotti erano incazzati per la morte in servizio di un collega, mediamente la vita di uno di noi valeva dalle 5 alle 10.000 lire. Ti trovavi perseguitato da un Ufficiale di P.S. che voleva farti diventare il Nureyev della marcia militare, in ordine pubblico ti comandava un Funzionario di Polizia che magari neanche aveva fatto il servizio militare, il primo inquadrato in Accademia come un soldatino, il secondo che giocava con i soldatini di piombo... Ecchediavolo… non si potrebbe avere una campana sola che suona? Infine: non ci si poteva sposare prima dei 28 anni, ma questa  non l'ho mai ritenuta una motivazione per cui valesse la pena di protestare. Allora capii perché le domande di arruolamento erano un quarto dei posti e mi dissi "questa categoria ha davvero dei grossi problemi!". Ma io dovevo fare solo 36 mesi e poi sarei tornato alla mia vita, al diavolo Sheridan, Colombo e company....
 
1974
 
Dopo il corso Allievi chiesi di andare alla Polizia Stradale o alla Giudiziaria: ero un quasi perito elettrotecnico e mi mandarono a Taranto a fare un corso di Radiotelegrafista presso le Scuole CEEM della Marina Militare (... ed io mi ero arruolato in Polizia per non andare in Marina). Questo fu la mia fortuna, ma io ancora non lo sapevo. Al Reparto Mobile di Taranto conobbi tanti colleghi più anziani che parlavano di riforma, smilitarizzazione, sindacato. Anche al mio Comandante, il Capitano Riccardo Ambrosini, piaceva fare di questi discorsi, ma sempre sottovoce perché "anche i muri hanno le orecchie e riportano tutto al Ministero!" A fine corso mi mandarono al Centro Telecomunicazioni della Questura di Ancona.
 
1975
 
A giugno del 1975 ebbi il trasferimento a Pesaro grazie ad una circolare del Ministro Cossiga che permetteva di fare servizio nella propria provincia di nascita a condizione che fosse un servizio interno, non a contatto con il pubblico. Sono stato il primo pesarese a prestare servizio alla Questura di Pesaro dove tutti erano convinti che ero raccomandato dall'On. Forlani, ex Presidente del Consiglio... Mica male come cosa! C'ho marciato sopra per un paio d'anni, poi quando mi sono messo a fare attività sindacale alla luce del sole... la Dirigenza ha capito che non ero esattamente un democristiano e mi hanno scoperto!
 
Da qualche anno in tutte le Questure d'Italia, supportati dalla confederazione CGIL-CISL-UIL, erano nati dei gruppi di poliziotti che si riunivano clandestinamente per discutere di smilitarizzazione e sindacalizzazione, commettendo il reato militare di ammutinamento con il rischio, se scoperti, di essere espulsi dal Corpo e di venire denunciati al Tribunale Militare. Smilitarizzare non significava mancanza di disciplina o di responsabilità, ma voleva dire che se il poliziotto sbagliava non doveva più essere punito con i giorni di "consegna", di "rigore" o essere giudicato da un tribunale militare per eventuali reati commessi, ma sarebbe stato sanzionato con pene pecuniarie e giudicato da un tribunale civile come tutte le altre persone. Sindacalizzare la Polizia ovviamente significava dare ai poliziotti una rappresentanza, eletta dagli stessi, che potesse contrattare i loro diritti/doveri. Anche a Pesaro un gruppo di poliziotti, tra i quali il Maresciallo Giuseppe Fucchi e l'Appuntato Mariano Giancarli, con l'aiuto delle Confederazioni locali CGIL-CISL-UIL, operavano nella clandestinità allo scopo di arrivare alla riforma della Polizia. Ormai vicini al pensionamento, cercarono di coinvolgere i colleghi più giovani ed io ero uno di quelli.  Sarà stata l'incoscienza dei vent'anni, ma questa cosa di riunirci di nascosto, cercando di depistare i colleghi dell'allora Ufficio Politico della Questura (l'attuale DIGOS) che ci davano la caccia... mi "faceva sangue"...
 
Riscuotevo un buon successo: negli incontri esterni, tipo assemblee sindacali di operai, dove tramite la CGIL-CISL-UIL andavamo ad illustrare i nostri programmi, perché ero l'unico a conoscere la lingua usata dagli operai: il dialetto pesarese. Negli incontri con i colleghi perché tutti si chiedevano chi me lo faceva fare di rischiare di essere espulso dalla Polizia, visto che facevo servizio nella mia città ed operavo nel settore tecnico e non su strada. La considerazione dei colleghi era: "se lui è disposto a rischiare il posto di lavoro, vuol dire che ci crede veramente in quello che dice..." Non è che poi mi interessasse tanto quel posto di lavoro, ma credevo veramente in quello che dicevo!
 
1976
 
Mi scadevano i tre anni di ferma e dovevo decidere cosa fare. In questi 3 anni lo stipendio era quasi arrivato a quelli degli operai,  si capiva che le condizioni sarebbero migliorate ulteriormente, facevo servizio a casa mia, svolgevo il lavoro per cui avevo studiato, se rinnovavo la ferma avrei ricevuto anche un milione di lire in premio e potevo cambiare la macchina... misi la firma per altri 3 anni. A fine anno, grazie ad una circolare del solito Ministro dell'Interno Cossiga, potemmo formare delle strutture di rappresentanza della categoria. Anche a Pesaro creammo il "Comitato per la sindacalizzazione e per la riforma della Polizia". Il candidato naturale alla Segreteria era Giuseppe Fucchi, ma lo stesso Fucchi, prossimo al pensionamento, propose la mia candidatura e fui eletto Segretario Provinciale con una larga maggioranza di voti. Venni eletto anche nella Segreteria Regionale.
 
1977-1978
 
Non esistevano ancora i permessi sindacali, quindi dedicavo il mio tempo libero a cercare di far conoscere i programmi del Comitato: assemblee sui posti di lavoro, incontri con i lavoratori rappresentati da CGIL-CISL-UIL, incontri con tutti i partiti politici, amministrazioni ed associazioni locali. Effettivamente ho dedicato molto del mio tempo a questa attività, ma non ho mai sottratto nulla alle mie passioni sportive, ai rapporti con gli amici e a quelli con il gentil sesso...
 
1979
 
Avevo superato le prove di ammissione ed il 1° gennaio mi presentai presso la Scuola Allievi Sottufficiali di Nettuno (Roma) per frequentare un anno di corso da Vice Brigadiere. Bellissima esperienza.
 
1980
 
Finito il corso sottufficiali ripresi servizio a Pesaro e continuai con la solita attività sindacale. Il 4 maggio, presso il cinema Adriano di Roma, si svolse l'assemblea costituente e nasce finalmente il SIULP. Vengo eletto nel Direttivo Nazionale che doveva essere composto da 30 membri. Con il Capitano Salvatore Margherito ci trovammo ex aequo al trentesimo posto. Io non ero nessuno, mentre Margherito era una Star per i suoi trascorsi al Reparto Celere di Padova. Mi dissi: "Caro ragazzo, mettiti l'animo in pace che per te non c'è posto nel Direttivo Nazionale". Invece il Segretario Generale Enzo Felzani volle allargare i posti a 31 per inserire anche questo giovane Vice Brigadiere di P.S., allo scopo di abbassare l'età media dei componenti che era piuttosto alta...
 
1981
 
In aprile fu approvata dal Parlamento la riforma della Polizia. Fu un momento di grande emozione, finalmente quello per cui in tanti avevamo lottato era diventato realtà. Anche io, come gli altri, ero consapevole che quello era un punto di partenza e non d’arrivo, davanti c’era una lunga strada da fare per migliorare una legge che era frutto di troppi compromessi tra troppi partiti politici.
 
1982
 
Fu l’anno dei congressi e dell’elezione dei quadri a tutti i livelli. A Pesaro ero il Segretario uscente, unico candidato,  e fui riconfermato con ampio consenso. Al Regionale il Segretario uscente, M.llo Riccardo Tonelli, decise di non ripresentarsi e l’unico candidato a Segretario Regionale era il “mitico” Appuntato Giovanni Baruzzi della Questura di Ancona sul quale convergeva il consenso delle Province di Ancona e Pesaro (i delegati di Ancona, da soli, erano la maggioranza in ambito regionale). Baruzzi era un romagnolo vecchio stampo che, dopo aver fatto parte delle Brigate Partigiane, era entrato in Polizia dove aveva sempre manifestato orgogliosamente le sue idee comuniste ed i suoi legami con i Parlamentari del PCI. Sulla figura di Giovanni si spaccò la Regione: Macerata ed Ascoli Piceno minacciarono di non partecipare al Congresso Regionale. Dopo lunghe trattative tra le quattro Segreterie Provinciali, il Segretario di Macerata, Celso Cipolletti, e quello di Ascoli, Corradetti, chiesero la mia candidatura come condizione per l’unità regionale. Per me  fu un momento veramente drammatico: Baruzzi per me era come un padre ed io per lui ero come un figlio. Io mi consideravo il suo erede e non il suo antagonista, anche perché conoscevo bene l’importanza che aveva per Giovanni il riconoscimento di quell’incarico (tutta una vita dedicata a cercare la riforma della Polizia). Parlai e riparlai con Giovanni e con i delegati anconetani, ma non ci fu nulla da fare: Ancona non voleva rinunciare alla candidatura di Baruzzi e Macerata ed Ascoli non lo volevano. Alla fine mi candidai anch’io ed andammo a congresso. Ovviamente ricevetti anche il voto dei delegati pesaresi oltre a quelli delle altre due province marchigiane. Tutti questi voti, però, non sarebbero bastati; la differenza la fece la Zona Telecomunicazioni di Ancona, i cui delegati mi votarono perché anche io appartenevo ai Servizi Tecnici. Venni eletto Segretario Regionale per UNO voto in più di Giovanni.  Quel giorno capii che il Movimento dei poliziotti era finito ed era cominciato il Sindacato. Volli Baruzzi come vice Segretario e, una volta digerita la delusione, lui fu per me il collaboratore di cui mi fidavo ad occhi chiusi, quello a cui chiedevo sempre l’ultimo parere, un padre, un fratello, un amico a cui ho voluto veramente molto bene. Assieme a Baruzzi e Cipolletti fui rieletto nel Direttivo Nazionale (questa volta niente ex aequo) ed iniziammo innumerevoli viaggi settimanali Pesaro-Roma andata e ritorno.
 
1984
 
Nei due anni passati al Direttivo Nazionale vidi la grande differenza tra Movimento e Sindacato. In provincia ed in regione eravamo ancora più o meno quelli di sempre, ci conoscevamo da anni, mantenevamo sempre lo stesso spirito “movimentista”, si faceva sindacato badando prima agli interessi della categoria, al di là del pensiero politico personale. Al Nazionale no, al Nazionale era politica pura. Se non ti schieravi dalla parte di una delle tre Confederazioni CGIL-CISL-UIL  il tuo pensiero non contava nulla, se eri “un cane sciolto” quando intervenivi su un argomento all’ordine del giorno nessuno ti ascoltava. Mi fu chiesto (e rifiutai) di prendere parte alla Commissione di Studio Ministeriale per le Volanti quando io facevo parte dei Servizi Tecnici, mentre alla Commissione di Studio dei Ruoli Tecnici fu inserito un collega della Squadra Mobile. Ma fino a ieri non eravamo noi a criticare la nostra Dirigenza per come impiegava il personale della Polizia senza nessuna logica? All’età di 30 anni mi sentivo stanco e superato, forse ero stato un buon “movimentista”, ma ora non riuscivo a capire quale era il mio ruolo nel Sindacato. Stavano emergendo dei giovani come Paolo Molinelli a Pesaro o come Salvadori a Senigallia, sicuramente la nuova generazione sapeva fare il sindacalista meglio di me, il futuro del SIULP era assicurato. Considerai chiusa la mia esperienza attiva nel Movimento/Sindacato e mi dimisi da tutti gli incarichi continuando a frequentare per qualche tempo le strutture regionali e provinciali, nelle vesti che erano state di Fucchi, Giancarli, Baruzzi, ecc…
 
CONCLUSIONI
 
L’esperienza nel SIULP e gli incarichi che ho ricoperto in giovane età mi hanno insegnato il senso della responsabilità, associazionismo, condivisione, mediazione, sintesi, rappresentanza. Mi hanno portato a conoscere ed accettare meglio me stesso, i miei pregi, i miei difetti, i miei limiti. Mi hanno aiutato a diventare l’uomo che sono oggi: una persona in pace con se stesso.
 
Dopo oltre 40 anni viene naturale chiedersi: ma quello a cui mi sono dedicato è servito a qualcosa? Dopo 36 anni ho riletto la mia relazione introduttiva al 1° Congresso Provinciale del SIULP ed ho pensato che quella relazione potrebbe essere attuale anche oggi. Di tutte le problematiche in essa elencate forse ne sono state risolte il 20%? Certamente le condizioni di lavoro, il trattamento economico ed i diritti degli operatori di polizia sono migliorati molto, ma la professionalità degli operatori e della Dirigenza, il rapporto cittadino/poliziotto, il coordinamento delle Forze di Polizia, la carenza di personale e tutte le altre questioni politiche, dove sono? Siamo sicuri che anche il sindacato che volevamo sono queste decine di sigle che cercano di strapparsi gli iscritti tra di loro a colpi di raccomandazioni? Lo stesso SIULP, dopo la scissione dovuta all’arroganza di Sergio Cofferati, è ancora il “nostro” SIULP? Per me personalmente e per tanti altri colleghi i miglioramenti economici e pensionistici portati dal sindacato sono stati molto rilevanti, ma per quanto riguarda la società nel suo insieme credo proprio di no. Preferisco non rispondermi quando mi chiedo se quello a cui mi sono dedicato è servito a qualcosa.
g
Torna ai contenuti